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sabato 25 giugno 2011

AOSTA VALDESE - Culto Evangelico Domenica 26 giugno 2011

AOSTA - Domenica 26 giugno 2011
2a DOPO PENTECOSTE
Culto Evangelico di Adorazione e Lode
ore 10.30

Predicazione a cura della Predicatrice Locale
Cinzia CARUGATI 
della Chiesa Evangelica Valdese di Ivrea



venerdì 24 giugno 2011

GESU' EBREO GESU' MESSIA

DIALOGHI CON PAOLO RICCA
E se gli ebrei avessero riconosciuto Gesù come messia...?
L’ ebraismo stesso (o giudaismo che dir si voglia) sarebbe rimasto quello che era? 
Se, come è probabile, sarebbe stato modificato da questo riconoscimento, in che misura e in che modo lo sarebbe stato?
C’è una questione che vorrei sollevare, ritenendola estremamente stimolante, quantomeno sul piano intellettuale. Eccola: considerata l’assoluta ebraicità di Gesù, il suo essere Cristo (cioè Messia) in un contesto strutturalmente giudaico, che cosa sarebbe accaduto all’ebraismo e al cristianesimo se il Salvatore fosse stato riconosciuto come il Messia atteso e annunciato dall’Antico Testamento? Ed è immaginabile che il Suo ritorno possa coincidere con l’arrivo del Messia ebraico?
Roberto Vitelli – Roma



È davvero suggestiva l’ipotesi formulata dal nostro lettore, anche se tutti sappiamo che la storia non si fa con i «se», cioè con ciò che non è accaduto (anche se in teoria avrebbe potuto accadere), ma si fa solo con quello che è effettivamente accaduto (anche se in teoria avrebbe potuto non accadere). In rapporto al problema sollevato dal nostro lettore, è accaduto quanto segue: una minoranza più o meno esigua di ebrei ha riconosciuto in Gesù il Messia di Israele atteso da tempo e lo ha confessato come tale, incorrendo, col tempo, nella espulsione dalla sinagoga (Giovanni 9, 22.34); la maggioranza degli ebrei, invece – e comunque tutta, o quasi, la leadership religiosa (Caiafa) e politica (Erode) di allora – non lo hanno riconosciuto come Messia, anzi lo hanno ritenuto o un esaltato pericoloso (a esempio per le sue parole sul Tempio, che egli avrebbe distrutto e riedificato in tre giorni) e blasfemo (a esempio per il diritto che si arrogava di perdonare i peccati), oppure un agitatore politico che, se lasciato fare, avrebbe finito per insospettire le autorità romane, le quali avrebbero probabilmente colto l’occasione per un ulteriore giro di vite repressivo nei confronti dell’intera comunità ebraica. C’era anche, tra gli oppositori, chi gli negava l’identità spirituale e religiosa ebraica chiamandolo «Samaritano» (Giovanni 8, 48), cioè eretico.


Ora, il nostro lettore ci chiede: che cosa sarebbe accaduto se la maggioranza ebraica avesse riconosciuto Gesù come il suo Messia? La storia di Gesù sarebbe stata diversa? Sarebbe stato comunque arrestato dai Romani come partigiano palestinese nemico di Cesare, cioè dell’imperatore, ma in questo caso contro il volere delle autorità giudaiche? E alla fine del processo-farsa che gli fu intentato, sarebbe stato crocifisso con la stessa motivazione politica riferita dagli evangeli: «re dei Giudei»? O invece dobbiamo pensare che un Gesù riconosciuto come Messia non sarebbe stato arrestato e che la sua vita si sarebbe svolta serenamente in seno alla comunità ebraica, con sviluppi che però non possiamo immaginare? L’ebraismo stesso (o giudaismo che dir si voglia) sarebbe rimasto quello che era? Se, come è probabile, sarebbe stato modificato da questo riconoscimento, in che misura e in che modo lo sarebbe stato? Ma un ebraismo (o giudaismo) modificato nella direzione auspicata da Gesù accolto come Messia non avrebbe reso superflua la nascita del cristianesimo, che è nato appunto come eresia ebraica? 
Ma se il cristianesimo non fosse nato, la storia del popolo ebraico sarebbe stata anch’essa molto diversa, almeno nel senso che, non essendoci il cristianesimo, non ci sarebbero state neppure le persecuzioni inflitte dai cristiani agli ebrei, e non ci sarebbe stato il cosiddetto antigiudaismo cristiano, con tutte le sue nefaste conseguenze. E noi, che prima di diventare cristiani eravamo pagani, che cosa saremmo diventati (supponendo che non saremmo rimasti pagani), se il cristianesimo non fosse nato? Saremmo diventati ebrei, in quanto discepoli di Gesù riconosciuto dagli ebrei come Messia? Apparterremmo allora alla comunità dei cosiddetti «ebrei messianici» che – se sono bene informato – accettano Gesù come Messia, ma non come Figlio di Dio nel senso della seconda persona della Trinità? 
Come si vede, le domande si moltiplicano e la matassa rischia di diventare sempre più ingarbugliata, anche se, volendo prendere sul serio la domanda iniziale, è difficile eludere tutte le altre che da essa nascono inevitabilmente. Il loro numero e la loro portata danno un’idea di quante implicazioni e complicazioni la domanda iniziale porta con sé.


Comunque, concentriamoci su di essa: che cosa sarebbe successo se gli ebrei (o i giudei) avessero riconosciuto, almeno a maggioranza, Gesù come il loro Messia? Tenterò una risposta, ipotetica come la domanda, cominciando a osservare che questo riconoscimento da parte ebraica avrebbe potuto aver luogo sia durante il ministero pubblico di Gesù fino al suo arresto, sia davanti a Gesù crocifisso (supponendo che i Romani lo avrebbero comunque, prima o poi, arrestato e condannato a morte), sia dopo la sua risurrezione. Il riconoscimento avrebbe potuto situarsi in uno di questi tre momenti, tra loro molto diversi, della storia di Gesù. Il significato e la portata di un ipotetico riconoscimento di Gesù come Messia da parte ebraica cambierebbero secondo il momento in cui tale riconoscimento avrebbe luogo. Vediamo più da vicino le tre possibilità.

1. In questi ultimi anni siamo stati resi attenti da diversi studiosi, sia ebrei che cristiani, alla grande varietà di posizioni religiose presenti nel giudaismo al tempo di Gesù. Questo vale anche per la concezione del Messia: sicuramente non ce n’era una sola, e nessuna era normativa. Sullo sfondo di una visione pluralista del messianismo ebraico com’era quella di allora, che cosa sarebbe accaduto se la maggioranza degli ebrei avesse riconosciuto Gesù come Messia durante il suo ministero pubblico? Sarebbero accadute, come minimo, due cose.

[a] La prima è che la comunità ebraica avrebbe preso per buona la risposta di Gesù alla domanda decisiva che Giovanni Battista gli pose attraverso i suoi discepoli: «Sei tu colui che ha da venire [cioè il Messia] o ne aspetteremo noi un altro?». Gesù rispose: «Andate e riferite a Giovanni quello che udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono guariti e i sordi odono; i morti risuscitano e l’Evangelo è predicato ai poveri. E beato colui che non si sarà scandalizzato di me!» (Matteo 11, 3-6). Gesù cioè elenca alcuni segni dei tempi messianici e in pratica afferma che, essendoci i segni, c’è anche il Messia che li compie. Riconoscendo Gesù come Messia la comunità ebraica avrebbe lasciato cadere la sua tradizionale obiezione, che è questa: quando viene il Messia, devono venire anche i tempi messianici per tutta l’umanità e l’intero creato (Isaia 11!), e non solo qualche segno per qualcuno, ma non per tutti: con Gesù i tempi messianici per tutti non sono venuti, perciò il Messia non era lui. Questa obiezione sarebbe caduta e la comunità ebraica, come quella cristiana, si sarebbe accontentata (per così dire) dei «segni» per riconoscere la messianicità di Gesù.

[b] La seconda conseguenza del riconoscimento sarebbe stato l’abbandono da parte di Israele di ogni messianismo di tipo politico, dato che Gesù ha in più modi preso le distanze dal progetto religioso nazionalista del partito degli zeloti (non dimentichiamo che uno dei Dodici, di nome Simone, era zelota: Luca 6, 15), che voleva liberare la Palestina – la «terra promessa»! – dall’odiato occupante romano e ristabilirvi il Regno di Davide: il Messia avrebbe dovuto realizzare questo progetto. Nulla di tutto ciò si ritrova nel Messia Gesù, che davanti a Pilato dichiara apertamente di essere, sì, re, ma di un regno che «non è di questo mondo», pur essendo in questo mondo. Riconoscere Gesù come Messia avrebbe significato optare per un messianismo libero da ipoteche di politica nazionale.

2. Che cosa avrebbe significato riconoscere la messianicità di Gesù condannato a morte dai Romani e crocifisso? Avrebbe significato accogliere un’idea di Messia nuova per la comunità ebraica. Si può infatti sostenere, con la ricerca storica più accreditata, che nel giudaismo del tempo di Gesù «non c’è alcuna traccia del “Messia sofferente”»(1), anche se autorevoli studiosi di quel periodo (come Joachim Jeremias) affermano il contrario. È un fatto che il passo giustamente famoso del «Servo sofferente dell’Eterno» (Isaia 53, 1-12) non è messianico, ma è probabile che Gesù abbia unificato nella sua coscienza e quindi nella comprensione del suo ministero e del suo destino la figura del Messia e quella del Servo sofferente. Questo abbinamento era una novità, introdotta nell’ebraismo dall’ebreo Gesù. Se la comunità ebraica avesse riconosciuto Gesù come Messia, avrebbe fatto proprio questo modo nuovo di intendere il Messia che, pur essendo nuovo, si innesta in un filone autentico della tradizione religiosa ebraica.

3. La storia di Gesù, secondo i primi testimoni che erano tutti ebrei, anzi ebree (dato il ruolo decisivo svolto dalle donne nella trasmissione del messaggio di Pasqua), non si conclude con la morte, ma con la risurrezione, che fa fare alla storia di Gesù un salto qualitativo. Riconoscere Gesù risorto come Messia significa fare la stessa esperienza di Tommaso (Giovanni 20, 28!) e affermare la divinità di Gesù – cosa che la coscienza ebraica ha sempre rifiutato di fare. Farla avrebbe significato per gli ebrei diventare cristiani. I primi cristiani, che erano ebrei, hanno vissuto questo passaggio non come un rinnegamento, ma come un inveramento.
Il nostro lettore chiede ancora se sia «immaginabile che il ritorno di Gesù possa coincidere con l’arrivo del Messia ebraico». Certo che è immaginabile, sarebbe molto bello e personalmente ne sarei felice. Non posso però dimenticare l’inquietante interrogativo di Gesù: «Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà egli la fede sulla terra?» (Luca 18, 8).
________________________
(1) James H. Charlesworth, Gesù nel giudaismo del suo tempo alla luce delle più recenti scoperte, Claudiana, Torino 1994, p. 198, n. 57.



Tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 6 maggio 2011

martedì 21 giugno 2011

La formazione della Bibbia








RIVISTA IL MONDO DELLA BIBBIA


N. 107 Marzo-Maggio 2011

LA FORMAZIONE DELLA BIBBIA


Sommario


-Editoriale
Fabio Ferrario
p. 1

IL DOSSIER
-Come si è formata la Bibbia?
Régis Burnet
p. 2-3
-Perché una comunità si dota di un canone?
André Paul
p. 4-7
-Le origini della Bibbia ebraica
Thomas Römer
p. 8-13
-La formazione di un canone umanistico
Intervista con Albert de Pury
p. 14-17
-Il processo di canonizzazione dell'Antico Testamento
André Paul
p. 18-20
-Il processo di canonizzazione del Nuovo Testamento
Éric Junod
p. 21-23
-Conclusione. Il seguito di una storia...
Pierre Gibert
p. 24-25

SERVIZI E RUBRICHE
-Gli scavi di Sabastiya e la Tomba del Battista
C. Benelli - O. Hamdan
p. 27-40
-Studi biblici / Dio e l'uomo alle origini della sua storia. 
Genesi 1-11 (prima parte)
Mario Cimosa
p. 41-47
-Studi biblici / Il discorso missionario nel Vangelo di Matteo
Giorgio Zevini
p. 48-51
-Gesù storico / 7 - Il dialogo tra il Gesù storico ed il suo ambiente
Fabio Ferrario
p. 52-54
-Archeologia e ricerca / Nell'intimità dei borghesi di Saqquarah (Egitto)
Intervista a Christiane Ziegler
p. 56-58
-Archeologia e ricerca / La sinagoga ritrovata di Clipea (Tunisia)
Estelle Villeneuve
p. 59
-Bibbia e cultura / Il Cantico dei Cantici: l'amore e le sue riletture
Luciano Zappella
p. 60-63




LA TEOLOGIA DELLE IMMAGINI DI MARTIN LUTERO - L'ESTETICA TEOLOGICA DI GIOVANNI CALVINO


L'immagine all'epoca

della Riforma

oltre i conflitti

le nuove prospettive

di Jérôme Cottin,
Facoltà teologica,
Parigi


Il tema dell’iconoclastia della Riforma è ormai abbastanza conosciuto; meno nota, la creatività visuale ed il pensiero visivo della Riforma, nella sua doppia realtà storica: quella tedesca luterana, e quella svizzera-francese zwingliana o calvinista, cioè riformata.

La storia ha ritenuto che la Riforma sia stata iconoclasta, proprio perché ha riscoperto il valore assoluto del testo biblico. Non c’è stato allora più spazio per l’immagine: valgono prima la Scrittura e poi la parola del sermone, che la attualizza. Uno dei slogan della Riforma è, in effetti, Sola Scriptura. Questo vuol dire che anche la trascrizione del testo biblico in un’immagine che la illustra non ha valore: e questo, per almeno quattro motivi:

1.  Il segno visivo non è uguale al segno linguistico; è secondario rispetto al primo.

2.  La Bibbia non propone nessuna immagine plastica; per lei, quasi tutte le immagini sono degli idoli.

3.  L’illustrazione di un testo biblico è già un’interpretazione, un tradimento del testo stesso.

4.  Piuttosto che mostrare immagini a quelli che non sanno leggere, meglio insegnare loro a leggere. Anche l’uso pedagogico dell’immagine, la cosiddetta Biblia pauperum viene messa in questione.A partire dal 1525, Lutero, che si preoccupa di diffondere il Vangelo il più possibile, scopre che le immagini possono essere utili (…)








Questa valutazione finalmente positiva delle immagini non ha soltanto ragioni pedagogiche e pratiche. È anche supportata da una antropologia aperta ai cinque sensi. Per lui, l’uomo pensa in e con immagini: «Le cose spirituali, non si possono pensare senza immagini»; e altrove, dirà che, siccome l’essere umano ha cinque sensi, ha bisogno di segni visivi per pensare la fede, per credere. Afferma anche che l’immagine plastica (egli pensava a Cristo sulla croce) non è altro che lo sviluppo  della stessa immagine che portiamo in noi, che abbiamo in mente.  Mentre per Calvino l’immaginazione è il luogo di nascita degli idoli nel senso che l’uomo sviluppa delle idee proprie che non sono quelle di Dio, per Lutero l’immaginazione è necessaria per appropriarsi in modo profondo ed intimo delel parole della Grazia, cioè la figura di Cristo crocifisso.

C’è però un limite alla teologia delle immagini di Lutero: esse sono competamente sottomesse al potere della Scrittura; si trovano in un rapporto di sottomissione rispetto alla praola pronunciata o scritta. Questo si vede già plasticamente: tutte le immagini prodotte dal luteranesimo sono accompagnate da versetti biblici, sotto, e spesso dentro lo spazio della rappresentazione. Si sa che Lutero controllava le immagini bibliche di Cranach, chiedendogli di rifare le immagini dell’Apocalisse, non fedeli al testo biblico, perché non lo illustravano. Lutero rimane nell’ambito della ancilla theologiae, l’immagine come serva della teologia. L’immagine non vale per sé, ma soltanto nel suo ruolo pedagogico; non ha in sé alcuna autorità, alcuna autonomia. 



La collaborazione tra Martin Lutero e Lucas Cranach

La riforma protestante non ha soltanto criticato e rifiutato le immagini.
Ne ha anche create. Questo accade soprattutto in ambiente luterano.
Il fatto che Lutero accetti il ruolo pedagogico dell'immagine, che abbia 
un'antropologia aperta all'immagine e una 
concezione realistica del sacramento, 
aiuta ad accogliere le immagini. Ma a due condizioni: devono essere fedeli
alla Bibbia e devono essere accompagnate da versetti biblici dipinti
dentro, sotto o attorno il quadro.
Vorrei presentare due esempi dell'iconografia biblica in contesto luterano,
molto diversi sia nella fattura, sia nel tema, 
ma tutti e due dovuti a Lucas Cranach uno dei più famosi artisti 
della Germania nel '500 e amico intimo del riformatore.
(...) 

Il pensiero estetico di Giovanni Calvino

è l’occasione per menzionare il suo rapporto paradossale con l’immagine. Egli formulò così il paradosso: Calvino rifiutava qualsiasi immagine in rapporto con la rivelazione (…), vietando le illustrazioni dei testi biblici, ma utilizzando in abbondanza immagini narrative. È stato molto attento alle metafore, ai simboli profetici, ai segni biblici di cui parla la Bibbia, ispirandovisi, tanto nello stile letterario, quanto nel presentare il contenuto della fede. Per esempio, parlando della realtà e della bellezza del Regno di Dio, Calvino riconosce che le parole sono inefficaci per darci un’idea di quello che potrebbe essere questo Regno; bisognerebbe, allora, fare come i profeti biblici, che hanno parlato non più con parole, ma con atti, gesti, simboli. «Il regno di Dio» dice Calvino «è quasi sviluppato con figure». E aggiunge: «i profeti, perché non riuscivano ad esprimere con parole, queste beatitudini spirituali nella loro sostanza, l’hanno descritta e quasi dipinta con figure corporali». Potrei riempire pagine di citazioni, nelle quali Calvino parla della bellezza, del dipinto dello sguardo, del segno visivo, della luce e del mondo visto come opera d’arte, quando si esprime sulla grandezza di Dio a cui solo appartiene la Gloria, cioè la bellezza. Soli Deo Gloria è, come sappiamo, lo slogan che riassume la teologia del riformatore di Ginevra. Vorrei indicare tre esempi di quella «immagine spirituale» nel pensiero biblico di Calvino.

Dalla metafora al segno visibile

 

Quando parla di Dio, Calvino usa spesso metafore che riguardano l’ambito del visuale, delle immagini, delle opere d’arte;
«i sacramenti ci portano promesse chiare (…) e ce le mettono davanti ai nostri occhi, come una pittura» (
Istituzione cristiana, 1541). Lo stesso per la creazione: «Il bell’ordine che vediamo tra il giorno e la notte, le stelle che vediamo in cielo e tutto il resto della creazione, sono per noi come una pittura viva nella maestà di Dio». Calvino parla spesso  della creazione usando l’espressione: «Questa bella opera d’arte che è il mondo». Quando parla dell’uomo, evoca un’altra opera d’arte: «Quando si fa un bell’arazzo, soltanto quello che vediamo è bello; la parte nascosta è deformata. Ma per l’uomo, vediamo che è bello dalla testa fino alla pianta dei piedi». Ma Calvino non rimane al semplice uso linguistico della metafora. A volte, la metafora un vero oggetto visibile, un segno da interpretare.


La dialettica del visibile e dell’invisibile

C’è una teologia dell’immagine nel pensiero di Calvino, ma all’interno di una dialettica del visibile e dell’invisibile. Certo, non si può vedere Dio. Però questa invisibilità non è totale né permanente: «Anche se Dio è invisibile, la sua gloria rimane visibile. Quando si tratta della sua essenza, egli abita certo una luce inaccessibile: ma dal lungo tempo che Lui regna sul mondo, questa gloria è il vestito nel quale Dio ci appare comunque di un certo modo visibile, colui che in sé era nascosto». E nella sua Istituzione cristiana:

«La divinità invisibile è rappresentata con la figura del mondo, ma i nostri occhi non arrivano a poterla vedere, però nella fede, 
sono illuminati con la rivelazione interiore di Dio».


Se si va un po’ più avanti nel pensiero di Giovanni Calvino, ci si accorge che il suo pensiero teologico è supportato da molteplici segni, che rinviano gli uni agli altri, costituendo quasi una semiotica. Il riformatore di Ginevra si appoggia sulla differenza agostiniana tra il segno e la cosa, ma va più avanti, distinguendo tra diversi segni: vi sono i segni vuoti di qualsiasi significazione; poi i segni umani, che hanno valore per la comunità umana; poi i segni spirituali, che sono di essenza spirituale, e che Calvino qualifica come «sacramenti», a cui si aggiungono i due sacramenti della della chiesa cristiana. Per questo lo Spirito Santo ha un posto così centrale: non è soltanto una figura della divinità, non è soltanto la presenza di Cristo nella sua invisibilità; è un principio di effettuazione: rende possibile il fatto che il segno sia più di se stesso, senza essere un idolo: «Quello che dice Agostino è vero, cioè che il segno visibile appare spesso sotto la santificazione invisibile, e al contrario la santificazione appare sotto il segno visibile».

Non è questo il luogo per approfondire l’estetica teologica di Giovanni Calvino, che ha sviluppato una estetica senza immagini, ma dalla quale, più tardi, nasceranno vere opere d’arte. Un’arte che va aldilà delle illustrazione, un’arte che sia veramente spirituale. Gli artisti più famosi dell’ambiente calvinista, li conosciamo si chiamano: Rembrandt, Van Gogh, Caspar David Friedrich, Mondian, Paul Klee o ancora – è importante saperlo in un ambiente italiano – Alberto Giacometti.


Conclusione

Le caratteristiche delle immagini prodotte dalla Riforma potrebbero essere le seguenti:

chiarezza di lettura;

semplicità dei mezzi;

stretto legame con la Parola e la Scrittura;

inserimenti nella cultura del tempo;

scopo militante;

immagine «laicizzata», cioè libera da ogni legame col sacro.

La Riforma fu certo critica rispetto all’immagine, ma questa critica ha anche contribuito a ripensare si il ruolo dell’immagine, sia il nostro rapporto con essa. Ormai l’immagine – quella biblica come quella umanistica – si presenta spesso come una pagina da leggere, e mostra segni e oggetti da interpretare. L’immagine si inscrive in una ermeneutica dei segni, visivi o linguistici. Partecipa alla nascita dell’immagine dell’età moderna.






tratto da: IL MONDO DELLA BIBBIA 100,
n. 5 - NOVEMBRE - DICEMBRE 2009
pp. 24-29;
per vedere l'articolo completo.


LA RIVISTA IL MONDO DELLA BIBBIA

E D I T O R I
LA RIVISTA
IL MONDO DELLA BIBBIA
STRUMENTO QUALIFICATO PER STUDI BIBLICI




N. 100 Novembre-Dicembre 2009

BIBBIA E IMMAGINI




Sommario


Editoriale
Piera Arata Mantovani
p. 1
-Presentazione / Bibbia e immagini: tradizioni, letture o tradimenti?
Agnese Cini Tassinario
p. 3
-Bibbia e immagini: una lunga storia di fedeltà (e tradimenti?)
Le tematiche trattate dal convegno di Padova.
Timothy Verdon
p. 4-8
-"Non ti farai immagine alcuna"
Il tema dell'aniconismo nella tradizione ebraica viene discusso in una relazione "a due voci".
Amos Luzzato - Daniele Garrone
p. 9-16
-L'Oriente cristiano, le icone e la crisi iconoclasta.
L'"immagine cristiana" sembra essere una contraddizione in termini, un tradimento dell'annuncio del Dio biblico.
Adalberto Mainardi
p. 18-23
-L'immagine all'epoca della Riforma: oltre i conflitti, le nuove prospettive.
Malgrado la sua indubbia iconofobia, la Riforma ha prodotto numerose immagini, soprattutto in ambiente luterano.
Jérôme Cottin
p. 24-29
-"Santificato sia il tuo nome". Il nome come immagine in Canaan e Israele.
I ritrovamenti archeologici nel territorio israeliano-palestinese permettono di ricostruire la nascita di un tema centrale della teologia biblica: la santificazione e l'adorazione del nome divino.
Thomas Staubli
p. 30-39
-Un problema di traduzione: le corna di Mosè
Dall'analisi del progetto originale del mausoleo di Giulio II si comprende meglio il significato del Mosè di Michelangelo, non tanto inteso come condottiero, ma in rapporto alle categorie di vita attiva e vita contemplativa.
Piero Stefani
p. 40-45
-La Bibbia istoriata padovana: parola di Dio o specchio di una società?
Un libro a figure il cui testo ha una mera funzione di accompagnamento e di commento.
Giordana Canova Mariani
p. 46-49
-Testi apocrifi ed elementi non evangelici in Giotto: dall'infanzia di Gesù alla Passione
Nel ciclo di affreschi della Cappella degli Scrovegni di Padova sono rappresentate alcune scene derivanti dalla tradizione apocrifa, in particolare nelle storie di Gioacchino e Anna e nell'infanzia di Maria.
Chiara Frugoni
p. 50-57
-Il Crocifisso nostro contemporaneo
Un'analisi del tema della crocifissione nell'arte contemporanea.
Stefano Levi Della Torre
p. 58-63
-Il Dio dell'arte cristiana è il Dio della Bibbia?
Rispondere a questa domanda suppone, da una parte, precisare cosa dovrebbe essere una figura di Dio per essere dichiarata conforme alla Bibbia e, dall'altra, concedersi un diritto di sguardo sull'arte cristiana.
François Boespflug
p. 64-71  











 
























sabato 18 giugno 2011

AOSTA VALDESE - Culto Evangelico Domenica 19 giugno 2011








CHIESA EVANGELICA VALDESE
AOSTA

Via Croix de Ville, 11 
AOSTA


Culto Evangelico di Adorazione e Lode 

Domenica ore 10.30


DOMENICA 19 GIUGNO 2011 



1a DOPO PENTECOSTE 
DOMENICA DELLA TRINITA'

«Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti!

Tutta la terra è piena della sua gloria!»

Isaia 6,3

Predicazione a cura della Predicatrice Locale
Vanda MONAJA

venerdì 17 giugno 2011

AMA TUTTO QUELLO CHE PUOI

RIEMPILO DI AMORE

Sempre, quando c’è un vuoto nella tua vita,
riempilo di amore.
Adolescente, giovane, vecchio,
sempre, quando c’è un vuoto nella tua vita,
riempilo di amore.
Non pensare: ne soffrirò;
non pensare: mi sbaglierò;
vai spontaneamente, allegramente,
alla ricerca dell’amore.
Ama, come puoi,
ama tutto quello che puoi,
ama sempre.
Non preoccuparti dello scopo del tuo amore;
contiene in se stesso il suo scopo.
Non giudicarlo incompleto,
perché non troverai risposta alla tenerezza;
l’amore porta nel dono di se, la sua pienezza.
Sempre, quando c’è un vuoto nella tua vita,
riempilo di amore.

                                     Amado Nervo


tratto da: Comitato Italiano per la CEVAA,
In Attesa del Mattino,
raccolta di testi di fede,
a cura di Renato Coïsson.
Stampato ma non pubblicato,
Torre Pellice, 1991, p. 97.

STEMMA VALDESE






CANDELIERE


Di origine ignota, probabilmente in relazione con lo stemma dei conti di Luserna, antichi feudatari della Val Pellice. Compare per la prima volta in opere a stampa del XVII secolo. La candela o fiamma sul candeliere associata alla scritta "in tenebris lux" o "lux lucet in tenebris" è chiaro riferimento al testo evangelico di Giovanni 1,5, dove Gesù è detto luce che risplende nelle tenebre. Le sette stelle che fanno corona alla luce sono un riferimento alla visione dell'Apocalisse 1,16, dove Cristo in gloria tiene nella mano sette stelle che rappresentano le sette chiese dell'Asia in crisi e persecuzione. Con questi due riferimenti biblici i valdesi hanno voluto affermare la loro volontà di fedeltà al Vangelo luce degli uomini e la loro certezza di essere in comunione con Cristo.


(citazione, con modifiche, da: www.chiesavaldese.org)

sabato 11 giugno 2011

AOSTA VALDESE - Culto Evangelico di Pentecoste Domenica 12 giugno 2011










CHIESA EVANGELICA VALDESE
AOSTA

Via Croix de Ville, 11 
AOSTA


Culto Evangelico di Adorazione e Lode 

Domenica ore 10.30




DOMENICA 12 GIUGNO 2011 
PENTECOSTE



«Non per potenza, né per forza, ma per lo Spirito mio», dice il Signore degli eserciti



(Zaccaria 4,6)


Predicazione a cura del 
pastore valdese Maurizio ABBA'